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La morte (quasi) non esiste… per il fisco!

Photo by Art Lasovsky on Unsplash

La rimozione della morte è un’utopia diffusa. Pensare e agire come se la vita proseguisse senza soluzione di continuità è un sogno irrealizzabile ma non per questo meno affascinante. Nella prospettiva tributaria, l’utopia in parte si avvera, grazie alla (quasi) sterilizzazione fiscale dei trasferimenti infragenerazionali di beni.
Il racconto si inserisce nella Proposta di Lettura Magnifiche presenze. Visioni dantesche nella ricerca di oggi. La scelta dell'estratto della Divina Commedia e il relativo commento sono a cura del professor Pirovano e del Comitato studentesco Per correr miglior acque

O poca nostra nobiltà di sangue
se gloriar di te la gente fai
qua giù dove l’affetto nostro langue,
mirabil cosa non mi sarà mai;
ché là dove l’appetito non si torce,
dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben se’ tu manto che tosto raccorce;
si che, se non s’appon di dí in díe,
lo tempo va dintorno con le force.
(Paradiso XVI, vv. 1-9)

Dante apre il sedicesimo canto del Paradiso vantandosi della propria nobiltà di sangue, di cui ha avuto notizia attraverso il racconto del trisavolo Cacciaguida. Egli la descrive qui attraverso la metafora del mantello che si raccorcia presto se non è allungato da nuovo panno, per esprimere la necessità di mantenere la nobiltà nella famiglia attraverso la virtù dei discendenti. Nei versi seguenti inoltre egli si mostra critico riguardo ad alcuni aspetti che caratterizzano la Firenze contemporanea, quali ad esempio la decadenza delle grandi famiglie nobili e la mescolanza di individui di classi sociali differenti.
Al contrario questo racconto di ricerca esprime una concezione opposta, meno rigida e forse più moderna, che mette al centro la mobilità sociale: essa potrebbe essere garantita attraverso l’imposizione di una tassa di successione, che oggi è esigua o inesistente.

LA MORTE (QUASI) NON ESISTE... PER IL FISCO!

“ ...è impossibile essere sicuri di qualcosa se non della morte e delle tasse” scrisse il commediografo britannico Cristopher Bullock in The Cobler of Preston; eppure - si potrebbe provocatoriamente osservare - riguardata nella prospettiva fiscale, la morte quasi non esiste.

Sebbene l’ordinamento preveda un’imposta di successione, è frequente che il trasferimento di un bene dal defunto agli eredi, e l’incremento patrimoniale che ne deriva loro, sia irrilevante per il Fisco. L’imposta di successione italiana si caratterizza infatti per elevate franchigie applicabili tra ascendenti e discendenti. La soglia di tassazione ammonta a un milione di euro per ogni beneficiario: la divisione ereditaria in parti uguali tra tre figli di un patrimonio pari a tre milioni di euro, quindi, non subirà alcuna imposizione fiscale. Inoltre, al superamento di tale soglia, l’imposta rimane contenuta, attestandosi al 4% dell’eccedenza.

La norma fiscale, secondo alcuni, risponde all’esigenza di valorizzare le relazioni familiari e la centralità della famiglia nell’organizzazione sociale. La Costituzione ne riconosce infatti i diritti quale “società naturale” (art. 29) e la considera una formazione sociale, nella quale l’individuo si realizza e sono assicurati i suoi diritti inviolabili (art. 2). La tendenziale detassazione del trasferimento mortis causa di beni ai discendenti, dunque, sarebbe espressione di tale riconoscimento.

Ho avuto modo, nel corso della mia attività di ricerca, di occuparmi del trattamento fiscale della famiglia: e a questa interpretazione non posso non muovere un’obiezione.

Altrettanta attenzione ai legami familiari non è garantita, infatti, quando si tratta di riconoscere sgravi fiscali per le spese che il contribuente affronta nell’interesse della famiglia. Nessuna delle riduzioni fiscali accordate per tali oneri li compensa in misura significativa; inoltre, le detrazioni per carichi familiari decrescono al crescere del reddito del contribuente e, oltre una certa soglia reddituale, vengono meno.
Tale limitato riconoscimento rappresenta, per alcuni, un difetto dell’ordinamento, che non sosterrebbe adeguatamente la famiglia.

In realtà, uno sgravio fiscale integrale, accordato a tutti i contribuenti per le spese familiari sostenute, rischierebbe di essere illegittimo. In primo luogo, esso provocherebbe un’alterazione della progressività dell’imposta rispetto al reddito; inoltre, ne risulterebbe violato il principio di eguaglianza tributaria verticale, che impone il differente trattamento fiscale di soggetti che si trovano in condizioni economiche e personali diverse.

Tanto la progressività quanto l’eguaglianza tributaria verticale sono strumentali alla realizzazione di uno degli obiettivi primari della Repubblica, chiamata a eliminare gli ostacoli economici e sociali che si oppongono, in concreto, a una reale eguaglianza fra i consociati (art. 3, c. 2, Cost.). È dunque in nome dell’eguaglianza sostanziale che si esclude che la collettività possa farsi integrale carico delle spese familiari del contribuente, a prescindere dal suo livello reddituale. Tale principio è preminente anche rispetto alla tutela della formazione sociale familiare.

Nel contesto che si è appena descritto, il ricercatore di diritto tributario non può non porsi delle domande. In un numero di casi assai significativo, sul trasferimento di beni mortis causa tra parenti in linea retta non è di fatto applicata alcuna imposta di successione, o viene applicata una tassazione oggettivamente esigua. Tale stato di cose non favorisce alcuna reale mobilità sociale, nonostante il ruolo strategico che questa ricopre nell’affermazione di un’autentica eguaglianza fra i consociati.
Che sia volta o meno a valorizzare i legami familiari, la sostanziale disapplicazione dell’imposta di successione non finisce, allora, per rappresentare un vulnus* al tessuto costituzionale?

*Nel linguaggio giuridico lesione di un diritto o, per estensione, offesa che può produrre profonda destabilizzazione di un principio o di una norma.

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Stefania Romana Gianoncelli
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

30 marzo 2020

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