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Fantasmi e case maledette. Il diritto cinese tra superstizione ed economia

Photo by Nathan Wright on Unsplash

A partire dal XXI secolo sono emerse, nel panorama del diritto cinese, numerose rivendicazioni relative al danno da “casa maledetta”. È una delle contraddizioni cifra di un paese che si trova a fare i conti, allo stesso tempo, con una rapidissima ascesa economica e il ritorno di tradizioni millenarie.
Il racconto si inserisce nella Proposta di Lettura Magnifiche presenze. Visioni dantesche nella ricerca di oggi. La scelta dell'estratto della Divina Commedia e il relativo commento sono a cura del professor Donato Pirovano e del Comitato studentesco Per correr miglior acque.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtude e canoscenza.
(Inferno XI, vv. 19 - 24)

Leggendo il racconto di ricerca viene fuori, messo in risalto, il contrasto atavico tra il diritto e la superstizione. Il consiglio di Ulisse, in questa terzina famosissima, potrebbe indicare una sorta di superamento dei limiti, tanto nei confronti del razionale quanto dell’irrazionale. Entrambi questi aspetti, infatti, opprimono le nostre scelte. Dobbiamo mantenere sì delle credenze, dei valori, senza però dimenticare di affidarci alla nostra intelligenza.

FANTASMI E CASE MALEDETTE. IL DIRITTO CINESE TRA SUPERSTIZIONE ED ECONOMIA

È il 2007 e la signorina Zhang, in procinto di sposarsi, acquista dal Sig. Liu un immobile, risultato poi “contaminato” da un suicidio. Così ella si rivolge al giudice per annullare il contratto di compravendita, vedersi restituire la somma pagata, e risarcito il danno morale. La Corte Popolare, in primo grado, ritiene il contratto valido, considerando la convinzione di aver acquistato una casa infestata del tutto irrilevante per il diritto, in quanto frutto di superstizioni feudali.

Di parere opposto si dimostra invece la Corte Intermedia di Zhengzhou (Henan), a cui la Signorina Zhang ricorre in appello. Secondo tale corte, la circostanza che una casa sia xiongzhai (maledetta) ha effetti nefasti sulla psiche di chi la possiede, e non può quindi essere taciuta al momento della vendita: il comportamento del Signor Liu è contrario all’etica sociale e viola l’interesse pubblico della società. La Corte ha così annullato il giudizio di primo grado, e dichiarato nullo il contratto stipulato tra le parti.

Per quando bizzarro il caso della signorina Zhang è tutt’altro che isolato. A partire dai primi anni 2000 alle corti della Repubblica Popolare Cinese viene domandato sempre più spesso di pronunciarsi su casi che riguardano, a vario titolo, “case maledette”. Sono controversie “nuove” per il sistema giuridico cinese che se, da una parte, traggono la loro ragione d’essere dalle antiche credenze locali, dall’altra sono un prodotto dello sviluppo economico e sociale, testimoniando, al contempo, l’emergente fiducia dei cittadini cinesi nel sistema giuridico del loro Paese.

Queste controversie vengono proposte da soggetti che, dopo aver acquistato o preso/dato in locazione un immobile, scoprono che esso è stato teatro di una morte violenta. In questi casi il danno reclamato non deriva tanto dal timore della sventura che, secondo la tradizione, potrebbe comportare il risiedere in tali dimore, quanto piuttosto dalla diminuzione del valore economico dell’edificio a causa dello stigma. Cosa fare, dunque, se il venditore/locatore ha mancato al dovere di informazione, approfittando della buona fede della controparte per vendere/darle in locazione una xiongzhai? In mancanza di esplicite previsioni legislative, l’esito di questi casi non è scontato, ma dipende, per lo più, dalla decisione del giudice di classificare questo tabù come “superstizione feudale” o come “usanza buona”: le pretese dell’attore potranno essere accolte solo se egli deciderà di far rientrare la credenza riguardo alle case infestate in quest’ultima categoria.

Emblematico, al riguardo, è il caso della signorina Zhang citato all’inizio. È bene notare tuttavia, che, anche nei casi in cui il giudice è disposto ad ammettere la violazione lamentata dall’attore, e con essa il dolo o la colpa del convenuto, nella maggioranza dei casi i rimedi concessi si riducono a un risarcimento molto limitato del danno economico.

Insomma, per risolvere la questione non basta tenere a mente il motto cinese “perseguire la buona fortuna, ed evitare le calamità”: quando dal riconoscimento sociale si vuole passare a quello giudiziale, le istanze della tradizione (e del diritto) devono venire a patti con quelle dell’economia.
Se è vero, dunque, che i fantasmi - come suggerisce l’etimologia del carattere con cui sono indicati in cinese “colui che ritorna” - sono tornati, nella Repubblica Popolare Cinese sembra anche per essi giunto il tempo di fare i conti con i valori e le ragioni di una “economia socialista di mercato” emergente.

Di questo mi sono occupata in un progetto di qualche tempo fa, dedicato al rapporto tra tradizione, diritto ed economia di mercato (socialista) nella Repubblica Popolare Cinese. I risultati, presentati in numerosi convegni internazionali, sono stati poi raccolti in due articoli: Non è vero ma ci credo. Le controversie riguardanti case infestate in Cina e Law and Tradition in a Socialist Market Economy: Haunted House Litigation in China.


Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Simona Novaretti
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

15 aprile 2020

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