Brand
Processi sociali e politici, Legge e Comunicazione

Cos’è il populismo? Alla ricerca di una definizione in Italia e in Europa

Un murales di Tvboy, Milano.

“Populismo” è una parola oggi onnipresente nel dibattito pubblico, sul cui significato continuano a esistere disaccordi ed equivoci. È possibile farne un uso rigoroso, andando oltre strumentalizzazioni e polemiche?  

Nell’usare il termine populismo occorre, a mio avviso, evitare due rischi.
Il primo è quello - comune alle trattazioni giornalistiche del tema, ma non solo - di guardare al populismo come se fosse una “cosa” e non, innanzitutto, una parola. Come se là fuori, nel mondo, esistessero “i populisti” e fosse a tutti evidente chi sono: oggi, secondo la vulgata, i 5stelle e la Lega ma, più in generale, tutti coloro che criticano l’euro, l’Unione europea e/o le sue politiche, siano essi sovranisti o internazionalisti, razzisti o terzomondisti. E dunque Marine Le Pen e il partito Alternative für Deutchland, ma anche Syriza e Podemos (di cui alcuni esponenti hanno effettivamente rivendicato per sé, in un’accezione positiva, l’etichetta di “populismo”). E, ancora, al di là dell’oceano, Donald Trump, ma secondo qualcuno anche Bernie Sanders (vedi C. Mouffe, Per un populismo di sinistra, Laterza 2019). Un elenco che tiene insieme tutto e il contrario di tutto e fa dubitare, con qualche ragione, dell’utilità euristica della categoria di populismo.

Il secondo rischio è quello che corre chi si concentra sulla parola e prova a ridefinirla, finendo tuttavia per scostarsi eccessivamente dagli usi correnti. Penso a Ernesto Laclau e alla sua celebre ridefinizione (e rivalutazione) del populismo come “logica del politico”, incentrata sulla costruzione di una “frontiera antagonistica” tra il “popolo” e l’estabilishment (La ragione populista, Laterza 2008). A partire da essa, Laclau qualifica come populista Palmiro Togliatti, ma non Silvio Berlusconi, attorno al quale non si sarebbe aggregato un “popolo”, ma un pubblico televisivo passivo e acritico. Un giudizio che stride con la percezione diffusa che proprio la “discesa in campo” di Berlusconi possa essere considerata l’avvio, in Italia, della stagione del populismo (Meny e Surel, Populismo e democrazia, il Mulino 2001).

Come raccapezzarsi di fronte a teorie tanto diverse? Premesso che nessuno è “padrone della parola”, si tratta di chiederci se la nozione di populismo possa essere utile per capire ciò che accade nella realtà. A me sembra di sì. Riallacciandomi ad autori che hanno provato a elaborare una concezione idealtipica di tale nozione (Mair, Taggart, Müller), propongo di intendere per populismo una particolare concezione del “governo del popolo”, che si caratterizza per:
a) il primato del popolo sulla legge e sugli organi di garanzia;
b) un’idea unanimistica del popolo, come soggetto che si esprime “con una voce sola”;
c) la centralità della leadership, in cui il popolo è chiamato a riconoscersi;
d) il rapporto diretto ed emotivo tra i leader e le masse.
Queste caratteristiche rappresentano una concezione rozza e semplificata della democrazia da cui, a ben vedere, non sono immuni molti di coloro che oggi si proclamano fieramente anti-populisti, in Italia e in Europa…

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Valentina Pazé
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

17 aprile 2019

condividi

LE MIE STORIE DI RICERCA

potrebbero interessarti anche