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Processi sociali e politici, Legge e Comunicazione

Una rivoluzione copernicana per superare l'euroscetticismo

foto: Matthew Usher

Se l’euroscetticismo è legato a una visione naziocentrica che risale al mito dello Stato nazionale sovrano che basta a se stesso, il processo di costruzione di una identità europea deve passare attraverso una rivoluzione culturale che porti la cittadinanza europea a far uso di paradigmi globali per capire la realtà.

L’Unione Europea attraversa una crisi prolungata e grave che investe non solo l’economia, ma anche il suo fondamento, e ne mette a rischio le competenze e la stessa sopravvivenza. La crisi è dovuta a una serie di fattori concomitanti: crisi economica, flussi immigratori, instabilità internazionale, criticità dei rapporti con gli USA e la Russia, dinamismo cinese, semi-egemonia tedesca. Tali elementi rappresentano il focus della ricerca svolta dalla cattedra Jean Monnet attivata nel mio Dipartimento, le cui ricerche sono pubblicate sulla rivista De Europa. European and Global Studies Journal.

Le paure suscitate nell’opinione pubblica dai fattori sopracitati alimentano l’euroscetticismo, come si legge nel recente volume Euroscepticisms, pubblicato da Il Mulino nella collana del Centro interuniversitario di ricerca sulla Storia del federalismo e dell’unità europea, cui aderisce il mio Dipartimento.
L’elemento comune alle varie forme di nazionalismo e di euroscetticismo è un atavismo residuo della cultura dei secoli passati che ha portato alle due guerre mondiali: il mito dello Stato nazionale sovrano, autosufficiente e bastevole a sé stesso. Siamo soliti considerare i problemi politici, economici e sociali come problemi nazionali, guardiamo la realtà dal punto di vista della nostra nazione, considerata un punto fisso intorno al quale ruotano gli altri avvenimenti. Usiamo categorie naziocentriche che distorcono la visione di un mondo che è globalizzato e interdipendente.
Per usare un parallelo con la storia della scienza, le nostre concezioni sono tolemaiche, mentre il mondo in cui viviamo è copernicano. L’affermazione del primato della propria nazione (“Prima gli italiani”, “Britain first”, ecc.) è concettualmente sbagliata perché, lungi dal perseguire il suo bene, porta allo scontro, prima verbale poi effettivo, fra gli opposti primati inconciliabili e i contrastanti nazionalismi.

Il superamento della logica nazio-centrica chiama in causa la definizione di nazione: si tratta di un gruppo sociale caratterizzato da elementi comuni (lingua, religione, storia, tradizioni, costumi, sangue) o è una comunanza di principi che comprende anche chi non vi è nato? Implica un’appartenenza definita dal ceppo genealogico che porta all’aberrazione dello Stato monoetnico e alla pulizia etnica, o è partecipazione a una collettività più vasta che include tutti i residenti nel territorio, indipendentemente dal luogo di nascita, che decidono di vivere insieme nell’osservanza delle leggi e dotati di eguali diritti e doveri?
La concezione inclusiva di nazione implica la cittadinanza cosmopolitica: i diritti di cittadinanza sono separati dall’origine etnica, legati alla residenza, fruibili da tutti coloro che scelgono di vivere in quel dato territorio.
L’Europa si è indirizzata verso un concetto più inclusivo di cittadinanza con il trattato di Maastricht che ha istituito la cittadinanza europea. Se il godimento di alcuni diritti è stato separato dalla nazionalità e basato sulla residenza, la cittadinanza europea non si è estesa per includere altri diritti.
Il compito di un sistema educativo moderno è allora quello di educare cittadini e cittadine a una concezione inclusiva di nazione e di cittadinanza realizzando una rivoluzione copernicana nelle mentalità che li e le porti all’uso di paradigmi globali per capire la realtà, condividere l’idea di Europa unita, riconoscere l’esistenza di una comune identità europea. 

Questa storia di ricerca si trova in:


un racconto di
Umberto Morelli
DIPARTIMENTO / STRUTTURA

Pubblicato il

06 maggio 2019

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