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In poche parole… innovazione! Quando l’economia indaga la ricerca

L’innovazione e le scoperte scientifiche sono una misura delle potenzialità che ha un sistema economico di migliorarsi. Ma come valutare l’importanza di una scoperta? Come misurare l’innovazione? Il nostro gruppo di ricerca parte dal linguaggio andando a caccia dei neologismi presenti negli articoli scientifici.

Chi non ha mai sentito narrare che fu una mela caduta da un albero a ispirare Newton sulla teoria della gravità? O della casualità che portò Fleming a scoprire la penicillina dando inizio all’era degli antibiotici? Le scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche hanno da sempre catturato l’immaginario collettivo. Anche gli economisti ne sono interessati, perché si pensa che siano le nuove idee, i nuovi prodotti e i nuovi processi a portare un sistema economico a fare di più e meglio, risparmiando risorse.
Investire in progetti molto innovativi può tuttavia essere rischioso. Sia per gli enti finanziatori che per gli stessi ricercatori: un lavoro che li porti troppo distante dalla comunità di riferimento può limitare le citazioni ricevute, la moneta che guida gli scambi nell’arena accademica.

Da ricercatrice mi occupo di scoprire la novità. E non è un gioco di parole ma una questione avvincente: tra migliaia di pubblicazioni scientifiche e di brevetti come si può distinguere ciò che è radicalmente nuovo da quanto è invece un’aggiunta marginale alla conoscenza esistente? Chi sono i ricercatori e i paesi che hanno il primato dell’innovazione? Quali sono i progetti di ricerca innovativi?
La teoria economica ci suggerisce che la novità risieda nella ricombinazione della conoscenza esistente, ovvero nelle competenze di ricercatori o inventori che hanno collaborato a uno studio o al deposito di un brevetto, oppure nella conoscenza che hanno acquisito dalla letteratura scientifica. Più è rara la ricombinazione, più è probabile che vi sia novità.

Insieme al mio gruppo di ricerca (Martina Iori di UniTO e Roberta Sinatra della Central European University di Budapest) credo tuttavia che questa definizione sia troppo restrittiva. Riteniamo che la novità sia da cercare anche nel risultato della ricerca: gli articoli o i brevetti.
Come ci insegna Thomas Kuhn, filosofo e storico della scienza, pensiamo che ogni scoperta richieda la creazione di nuovi termini per descrivere la novità. La parola «virus», per esempio, è nata quando i biologi si resero conto di osservare qualcosa di nuovo, che non si comportava né come un batterio né come una tossina.
La nostra ricerca consiste allora nell’esplorare grandi quantità di testi (big data!) per individuare i lavori che usano parole relativamente nuove e studiare poi l’evoluzione della novità nel tempo, le carriere degli innovatori e il loro accesso ai fondi di ricerca.

Perché è importante tutto questo? Rispondo citando la Commissione Europea nell’ambito della Strategia di Lisbona 2020:
«Una crescita intelligente è quella che promuove la conoscenza e l'innovazione come motori della nostra futura crescita. Ciò significa migliorare la qualità dell'istruzione, potenziare la ricerca in Europa, promuovere l'innovazione e il trasferimento delle conoscenze in tutta l'Unione, utilizzare in modo ottimale le tecnologie dell'informazione e della comunicazione e fare in modo che le idee innovative si trasformino in nuovi prodotti e servizi tali da stimolare la crescita, creare posti di lavoro di qualità e contribuire ad affrontare le sfide proprie della società europea e mondiale».


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